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    Quel meraviglioso sogno diventato realtà, chiamato Coppa Davis. Nel segno di Jannik Sinner.

    Dopo 47 anni dal primo trionfo, dopo altre quattro finali perse da quel momento storico, apparso per tanti, troppi anni come irripetibile, la nazionale italiana di Tennis è di nuovo campione del mondo.

    In principio furono Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli.

    Nel 2023 sono stati Jannik Sinner, Matteo Arnaldi, Lorenzo Sonego e Lorenzo Musetti.

    In principio fu il grande Nicola Pietrangeli come capitano non giocatore.

    Nel 2023 c’era Filippo Volandri.

    In principio fu Adriano Panatta, che in quel meraviglioso 1976 del tennis italiano, nel quale riuscì a vincere il Roland Garros (ultimo successo di un tennista italiano in un torneo del Grande Slam), riuscì a battere per due volte il dominatore del circuito tennistico mondiale e numero uno della classifica ATP Bjorn Borg.

    Nel 2023 è stato Jannik Sinner, a battere per due volte uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi, dominatore del circuito tennistico mondiale e numero uno del ranking ATP per due volte in appena 12 giorni, e in due partite su tre.

    Ma se si riducesse esclusivamente il successo dell’Italia nell’edizione 2023 della Coppa Davis ad un mero susseguirsi di corsi e ricorsi storici, ciò sarebbe profondamente ingiusto!

    Perché nel trionfo di Malaga c’è molto di più.

    Ed è un qualcosa che non parla solo della dedizione, della grinta e della costanza per riuscire a conseguire l’importantissimo traguardo raggiunto.

    E’ qualcosa che parla di una rinascita.

    La rinascita complessiva di un movimento tennistico che dopo aver quasi toccato l’apice, raggiungendo la finale di Coppa Davis del 1998 contro la Svezia (purtroppo perduta, anche a causa dell’infortunio di Andrea Gaudenzi nel primo singolare contro Magnus Norman), aveva progressivamente perso smalto e brillantezza, senza riuscire a garantirsi un adeguato ricambio generazionale, sprofondando addirittura, nel 2003, nel secondo raggruppamento della Zona Europa/Africa, la cosiddetta “Serie C” della competizione.

    E’ stata una risalita lenta e graduale, densa di delusioni e battute d’arresto, in anni caratterizzati da una scarsa presenza di tennisti tricolori nella top 100 della classifica mondiale, e nei quali la sporadica vittoria da parte dei suddetti atleti di un torneo di livello equivalente agli attuali “ATP 250” veniva salutata dalla stampa specializzata e dagli addetti ai lavori come un’impresa quasi trionfale.

    Tuttavia, una rimonta costante, costellata dal ritorno nel “gruppo mondiale” a partire dalla stagione 2012, e da un miglioramento complessivo dei risultati (vedi la semifinale del torneo raggiunta nella stagione 2014 e persa in casa della Svizzera di Roger Federer).

    Poi il cambiamento.

    La nuova formula della Coppa Davis, tanto vituperata (a buona ragione!) da molti, con tre partite (due singolari e un eventuale doppio di spareggio) al meglio dei tre set, l’eliminazione dei turni durante la stagione, con alternanza di fattore campo e superfici di gioco.

    E soprattutto la costante crescita del valore dei tennisti, certificata dalla costante crescita in classifica dei tennisti nostrani e dall’esponenziale miglioramento dei risultati conseguiti.

    In tal senso è doveroso ricordare la vittoria di Fabio Fognini (miglior classifica numero 7 del ranking ATP) nel torneo di Montecarlo, primo tennista italiano di sempre a trionfare in una competizione di livello Masters 1000, e la finale raggiunta da Matteo Berrettini (miglior classifica numero 7 del ranking ATP) a Wimbledon nel 2021 contro Novak Djokovic.

    Attorno a quest’ultimi una generazione di tennisti di ottimo livello, alcuni di grande talento come Lorenzo Musetti, altri eccellenti “comprimari” quali Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi ed il veterano Simone Bolelli (oramai impegnato esclusivamente nella carriera di doppista), indispensabili a costruire l’intelaiatura di una squadra che mirasse al successo.

    E in cima a tutti, lui.

    Il predestinato.

    Il prescelto.

    Jannik Sinner da San Candido, piccolo borgo della provincia autonoma di Bolzano, figlio di genitori madrelingua tedeschi, ma più che fluente in italiano, classe 2001, tennista di strepitosa completezza tecnica (peraltro ancora ampiamente implementabile vista la giovane età), notevole sagacia tattica, e persona umile e intelligente anche fuori dal campo (elemento che non guasta mai, e anzi costituisce un importante e fondamentale valore aggiunto).

    Il primo giocatore italiano dai tempi di Adriano Panatta, capace di suscitare un interesse mediatico a livello nazionale, degno dei campioni di più alto livello che il nostro paese abbia saputo esprimere nelle discipline sportive più conosciute e prestigiose (come ad esempio Valentino Rossi nel motociclismo, o Federica Pellegrini nel nuoto).

    Indicativo in tal senso l’enorme seguito, misurabile negli ascolti televisivi, suscitato dalle ATP Finals di Torino, il torneo che si disputa alla fine della stagione tra i primi otto giocatori della classifica mondiale, molto superiore a quello conseguito negli anni precedenti, proprio a causa della presenza in gara del giovane talento azzurro.

    Un po’ tutta Italia, in quei giorni ha parlato del “ragazzino”, del nuovo fenomeno italiano capace di sfidare i migliori al mondo, e addirittura di battere il numero uno del mondo (purtroppo non nell’atto conclusivo dell’importante torneo).

    Chiunque conosceva e nominava il nome di Sinner in quei giorni, anche gente che non aveva mai visto una partita di tennis nella propria vita o che non era mai entrata su un campo da tennis.

    Si è avuta la percezione generale da parte del pubblico italiano di avere “scoperto” un atleta italiano capace di poter competere per i tornei più importanti del mondo e riuscire ad affrontare ad armi pari i tennisti più forti del panorama mondiale.

    Ma la più grande dote dimostrata dal tennista altoatesino nelle straordinarie due settimane che hanno idealmente unito le ATP Finals alla fase finale della Coppa Davis è stata senza ombra di dubbio la concentrazione.

    La capacità di “resettare” la sua mente, dopo gli straordinari giorni di Torino, passati sull’onda dell’entusiasmo delle migliaia di spettatori che hanno assiepato il meraviglioso Pala Alpitour, e di focalizzare la sua attenzione su una tipologia di torneo totalmente diversa quale la Coppa Davis.

    Passare, senza contraccolpi emotivi o deficit di concentrazione dalla percezione prettamente individualistica di uno sport come il tennis, a quella “di squadra” tipica di una competizione come la Davis non è cosa facile, ed è certamente caratteristica peculiare dei grandi campioni.

    E Jannik lo è!

    Almeno il 75% del merito della straordinaria vittoria dell’Italia è incontrovertibilmente suo.

    Il ventiduenne altoatesino ha vinto tutte le partite che è stato chiamato a giocare (tre singolari e due doppi), spesso costretto a vincere a tutti i costi a causa di sconfitte patite dai suoi compagni di squadra nei match precedenti.

    Su tutti i match disputati, svetta per distacco l’impresa compiuta nella semifinale contro la Serbia ai danni del numero uno del mondo Novak Djokovic, sconfitto in tre set dopo aver annullato ben tre match point consecutivi al campione serbo, il quale, soprattutto sul terzo dei summenzionati punti ha senz’altro parecchio da recriminare.

    Nell’attuale momento storico del tennis mondiale, Sinner si sta affermando sempre più come uno dei pochissimi giocatori al mondo (insieme a Carlos Alcaraz ed in misura minore Danil Medvedev) in grado di “scardinare” il gioco del campione serbo, di resistere ai suoi punti di forza tecnico-tattici, e più di una volta di metterli in crisi offrendo soluzioni efficaci, basate su una conduzione di partita dalle spiccate caratteristiche offensive.

    Doti favorite soprattutto da una netta implementazione dei fondamentali nel corso degli ultimi 24 mesi, soprattutto nel comparto del servizio (è oramai frequente vedere Jannik servire regolarmente sopra i 210 chilometri orari, e con percentuali di prime in campo sempre crescenti) e dei colpi al volo (una parte del gioco alla quale Sinner sembrava allergico e concettualmente lontano fino a non molto tempo fa, e che nell’ultimo anno è invece cresciuta esponenzialmente, anche e soprattutto sotto la spinta del suo nuovo allenatore Darren Cahil).

    Elementi questi che consentono al giovane italiano di proiettarsi stabilmente nell’Olimpo dei grandi del tennis mondiale, e di aspirare (assai concretamente) al raggiungimento futuro del massimo obbiettivo per qualsiasi tennista: il conseguimento della prima posizione mondiale.

    Un obiettivo ambizioso, ma alla portata di un Jannik in costante crescita, oramai convinto del proprio bagaglio tecnico, e consapevole del fatto che nemmeno il più grande dei campioni, colui che ha superato praticamente ogni record precedentemente raggiunto da altri grandissimi fuoriclasse precedenti o a lui contemporanei, sia imbattibile o tantomeno “sportivamente eterno”.

    Con il suo apporto determinante, Sinner è stato anche in grado di mettere a tacere alcune polemiche e accuse di scarso patriottismo e attaccamento alla maglia azzurra, scaturite dalla sua mancata partecipazione ai gironi della fase finale della manifestazione (elemento che non ha comunque pregiudicato la qualificazione dell’Italia ai quarti di finale, preludio alla cavalcata trionfale che ha portato alla conquista del trofeo).

    Ma aldilà degli inconfutabili meriti di Sinner, la vittoria della prestigiosa insalatiera d’argento è stata innanzitutto una vittoria di squadra.

    La vittoria di un gruppo coeso, simbolo di quella crescita collettiva del movimento tennistico italiano di cui si accennava in precedenza.

    Un gruppo capace di rimanere impermeabile anche a critiche (spesso anche giuste) che avrebbero potuto destabilizzarlo (vedi la mancata, e assolutamente ingiusta a parere di chi scrive, convocazione di Fabio Fognini, con annesse feroci polemiche tra quest’ultimo e il capitano non giocatore Filippo Volandri, peraltro vittima al riguardo anche degli strali del suo predecessore Corrado Barazzutti).

    Un gruppo di di tennisti che adesso può fregiarsi del titolo di “campioni del mondo”.

    Un titolo che senza dubbio tenterà di mantenere e difendere nella prossima stagione.

    Ma ci sarà tempo per pensare a questo.

    Adesso è soltanto il momento di festeggiare adeguatamente il trionfo conseguito, nella speranza che sia il primo di una lunga serie.

    In principio furono Adriano, Corrado, Paolo e Antonio con Nicola.

    La loro storia, la loro impresa resterà per sempre negli annali e nella memoria degli appassionati di tennis italiani.

    Ma in futuro si potrà raccontare anche un’altra storia!

    La storia di Jannik, Lorenzo, Matteo, Lorenzo e Simone con Filippo.

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